Tumori, la prorettrice dell'Humanitas di Milano: «Presto un vaccino terapeutico»

A dodici anni è rimasta incantata nel guardare al microscopio un vetrino con una goccia di sangue.

La mamma Annamaria l’aveva portata nel laboratorio di una sua amica biologa. Dopo il liceo si è iscritta a Biologia ma non aveva l’obiettivo di diventare ricercatrice. Anzi, ad un certo punto voleva deviare per la grafica pubblicitaria. Piccola pausa di riflessione, poi la corsa per arrivare alla laurea e la fuga in Gran Bretagna. Rientra in Italia con in tasca una pubblicazione come primo autore, ma anche il disamore per la biochimica. Decide che è ora di cambiare strada, si dedica al business management: supera gli esami. Nel frattempo le arriva una borsa di studio del Cnr, resta nel mondo della scienza. Sceglie un laboratorio di immunologia. Lì scatta la passione. È stata una strada tortuosa quella che ha portato Maria Rescigno, 53 anni, due figli, Edoardo e Nikki e un marito, Matteo, che lei definisce “straordinario”, ai vertici della ricerca. Oggi è docente di Patologia generale e prorettrice vicaria con delega alla ricerca di Humanitas University Milano. Oggi guida un “progettone”, lo chiama così, un vaccino terapeutico contro il tumore. Contro melanoma e sarcoma finanziato da Fondazione Airc.

L’11 febbraio è la Giornata mondiale delle donne e delle ragazze della Scienza istituita dall’Onu. È la sua festa?

«Festeggio ogni giorno, faccio uno dei lavori più belli al mondo. Sempre proteso verso nuovi confini, non annoia mai. Sapere di concentrare le forze in un impegno volto a salvare vite umane dà una grande carica».

Si riferisce al vaccino terapeutico per migliorare l’immunoterapia contro melanoma e sarcoma metastatici? In quanti lavorate al “progettone”?

«Siamo poco più di cinquanta, otto gruppi di ricerca. Allo studio partecipano anche le università di Bologna, quella del Piemonte Orientale, Milano Bicocca e l’Istituto Pascale di Napoli».

Qual è il ruolo di questo vaccino? Non è preventivo ma terapeutico, vero?

«L’immunoterapia ha cambiato la prognosi di alcuni tumori come il melanoma fino a poco fa considerati incurabili, tuttavia c’è ancora una percentuale di pazienti, circa il 40%, che non risponde a questi trattamenti che usano i cosiddetti inibitori dei check point immunitari. Farmaci che tolgono il freno al sistema immunitario e lo indirizzano contro il tumore. In molti casi la risposta immunitaria non viene attivata e occorre un rinforzo».

E il rinforzo è il vaccino che state mettendo a punto. Ma non è ancora disponibile.

«Esatto. Per il vaccino utilizziamo una caratteristica della cellula tumorale. Che, di fatto, è una cellula stressata perché costretta a mutare in continuazione. Questa condizione la porta a esprimere antigeni che noi abbiamo selezionato attraverso molti esperimenti. Nella nostra ricerca ne abbiamo scelti otto. Sono come bandierine che indicano alle nostre difese quali sono i nemici da attaccare. Il vaccino non è ancora disponibile ma ci stiamo avvicinando».

È un vaccino che stimola la risposta immunitaria?

«Sì, punta a stimolare la risposta immunitaria. È progettato appositamente contro uno specifico tipo di tumore. In questo modo la terapia potrebbe agire con maggiore efficacia».

Perché non si pensa ad un vaccino preventivo anticancro?

«Perché scientificamente è più percorribile la strada che porta alla protezione da un virus come l’Hpv, il Papilloma. O, come abbiamo visto in questi anni contro il virus della pandemia. Il cancro si manifesta in talmente tante variabili, come l’organismo umano peraltro, che appare più complesso e, forse, non di successo, pensare ad un vaccino in grado di prevenire la neoplasia».

A proposito di Covid, lei e il suo gruppo di immunologi, all’Humanitas, vi siete trovati a lavorare sulla pandemia…

«I ricercatori devono essere rigorosi ma flessibili. Come è scoppiata l’emergenza abbiamo iniziato a mettere le nostre energie nella lotta al virus senza mai dimenticare il vaccino. Siamo stati inondati di campioni».

Obiettivi?

«Studiare le possibili varianti e i possibili profili che si manifestavano nei pazienti. Per analizzare la risposta immunologica. Abbiamo anche individuato tre parametri che permettono di prevedere l’evoluzione della malattia e, soprattutto, sono decisivi per il ricovero o no».

Lei, nella ricerca, vede una differenza tra donne e uomini?

«La ricerca ha una sola lingua, in tutto il mondo. È oltre la differenza di genere e di latitudine. Ho sempre solo cercato di prendere a modello gli scienziati che avevano intuizioni ammirevoli, che pubblicavano lavori non ripetitivi».

Nel suo laboratorio ci sono una ventina di donne e solo due uomini. Come mai?

«Si sa che le donne hanno un’inesauribile resistenza quando lavorano. Vero?».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Potrebbe interessarti anche

Articoli correlati