Trapianti, aumentano i donatori ma 8.000 persone sono in lista d'attesa. La Fda: via agli xenotrapianti

Cresce il cuore grande degli italiani. Lo dimostrano i numeri: le donazioni degli organi nel 2024 sono aumentate del 2,7% rispetto a quelle del 2023.

E sono stati realizzati 4.692 trapianti, 226 in più (il 5,1%) rispetto all’anno precedente. Risultati da record, mai raggiunti, con un tasso nazionale di donazione che arriva a 30,2 donatori per milione di persone (tra i primi posti in Europa, secondo un’analisi del Centro nazionale trapianti dell’Istituto superiore di sanità). Crescono del 13% gli interventi che portano a un cuore nuovo. E poi del 6,6% quelli di rene, dell’1,8% di fegato. Tra le novità che hanno permesso questo successo, la crescita (con un +30%) della donazione a cuore fermo, cioè quella fatta in pazienti la cui morte viene accertata dopo un arresto cardiaco da più di 20 minuti. I centri ospedalieri che effettuano questo tipo di donazione sono attualmente 85, mentre dodici mesi fa erano 72. Nel 2024 quelli da donazione a cuore fermo hanno rappresentato il 13,2% di tutti i trapianti realizzati: nel 2023 erano il 9,9%, due anni fa solo il 5,7%. «Sono risultati di cui siamo orgogliosi. L’Italia ha fatto un bellissimo lavoro – dice il direttore del Centro, Giuseppe Feltrin – C’è stata una crescita della donazione che ha riguardato il Nord ma anche, in maniera storicamente più significativa, il Sud». Chi vuole avvicinarsi alla donazione può farlo in Comune, comunicandone la volontà quando chiede la Carta d’identità, oppure iscrivendosi alle associazioni di volontariato che se ne occupano (come l’Aido, per esempio) o firmando un modulo alla Asl o compilando il tesserino del Centro trapianti. Oppure, con un atto olografo da conservare e che conferma l’intenzione. Donare, come spiega Feltrin, è un «gesto d’amore verso gli altri». «Ogni anno ci sono ottomila italiani in lista d’attesa e una parte di loro non ce la fa proprio perché sono necessari più donatori», prosegue. Oggi è possibile donare organi e tessuti dopo la morte e, in vita, il rene, una parte del fegato e le cellule staminali. Per legge si possono donare in vita anche parti di polmone, pancreas e intestino, ma non sono ancora state praticate.

LA QUESTIONE

Resta in piedi proprio questo tema, quello delle liste d’attesa, perché un trapianto salva la vita ma c’è bisogno di qualcuno che dia l’organo. E in futuro si aprirà sempre di più la strada agli xenotrapianti, cioè a quei trapianti d’organo da un’altra specie animale a un essere umano. In questo caso di un suino, che per compatibilità è vicinissimo a uomini e donne. Un’opportunità per evitare il più possibile il rischio di rigetto che, nella storia, è stato forse l’ostacolo più grande. Dall’Fda (l’autorità sanitaria Usa), ora, arriva l’ok a una sperimentazione di trapianti di rene dai maiali all’uomo su sei pazienti in condizioni gravissime. Una frontiera dunque attuale per la scienza. Gli studi continuano e le autorità sanitarie si rendono sempre più conto che è una prospettiva da seguire per avere una nuova, ulteriore, risposta concreta al problema delle liste d’attesa. Si preferisce il maiale e non i primati non umani (come scimpanzé od oranghi) perché vengono già allevati per scopi alimentari e perché sono in grado di riprodursi molto rapidamente. In linea teorica, sarebbero in grado di dare più organi come specie-donatrice.

LA STORIA

Sono lontani i primi casi di xenotrapianto d’organo: erano gli anni della Belle Époque. Nel 1905 fu il dottor Princeteau, a Parigi, a documentare il suo intervento storico: pezzi di rene di coniglio in un ragazzo affetto da insufficienza renale. Sedici giorni dopo il ragazzo morì per un edema polmonare. Nel 1964 il chirurgo dell’Università del Mississippi, James Hardy, tentò un trapianto di un cuore di uno scimpanzé su un sessantottenne, ma l’operazione non andò bene: morì dopo sole due ore. Venti anni più tardi, nel 1984, si tentò la strada dello xenotrapianto per aiutare Stephanie Fae Beauclair (rimasta alla storia come Baby Fae), nata con la sindrome del cuore sinistro ipoplastico. Sopravvisse con un cuore di babbuino per 21 giorni prima che il suo corpo rigettò l’organo. La ricerca non si è però fermata in tutti questi anni. Un salto nel tempo e poi il cambio di passo. Nel 2021 la Food and drug administration degli Usa concesse l’autorizzazione di emergenza, a scopo compassionevole, di uno xenotrapianto di cuore. E nel 2022 il passaggio storico passò dall’Università del Maryland, quando il dottor Bartley Griffith realizzò con successo il primo trapianto di un cuore di un maiale su David Benett, che però morì giusto due mesi dopo. In questo caso l’autopsia non trovò rigetto ma un ispessimento e un irrigidimento del cuore. Il tempo passa e la medicina non si ferma. A marzo dello scorso anno un paziente ha ricevuto un rene di un maiale al Massachusetts General Hospital. L’intervento è andato bene, senza rigetto, ma due mesi dopo è morto per un problema cardiaco. E l’autopsia ha accertato che l’episodio non aveva avuto alcun legame con il trapianto. A novembre è Towana Looney a sottoporsi a un intervento per impiantarle un rene suino sottoposto a una rigida modifica genetica per renderle l’organo più simile a quello umano (un’operazione che è sempre necessaria per ridurre il rischio di un rigetto). Dopo undici giorni Towana è stata dimessa dall’ospedale, il Nyu Langone Health. Non ci sono solo gli organi interi, ora ancora a una fase sperimentale.

Oggi gli animali allungano la vita degli umani quando serve reimpiantare una valvola cardiaca. E i tendini, sempre di maiale, vengono usati in ortopedia. Oltre alla pelle, per i grandi ustionati. In sostanza, sono passati 120 anni da quel primo intervento del dottor Princeteau. E sembra di essere davanti a un’altra storia. «È una prospettiva interessante e in valutazione, ma ancora la strada da fare è tanta. Non è oggi, non sarà domani ma sarà in un lungo dopodomani», conclude Feltrin.

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