Gli ultimi casi sono stati quelli dell’attrice Jade Pinkett, che si è mostrata ai suoi followers con la testa rasata facendo “coming out” del problema di alopecia che la affliggeva, e del rapper Fedez che ha condiviso sui social, prima la scoperta della sua malattia, poi la foto postoperatoria con la cicatrice all’addome.
Ma gli esempi sono innumerevoli: dal cancro alla gola di Michael Douglas, alla psoriasi di Kim Kardashian, dalla fibromialgia di Lady Gaga alla mastectomia preventiva di Angelina Jolie. Il tema è scivoloso, tocca corde delicate, che hanno a che fare con la nostra identità più profonda, valori, credenze, codici comportamentali profondamente diversi. Sotto il profilo giuridico entra in gioco la dimensione della privacy. Partiamo dalla considerazione che il diritto alla protezione dei dati personali, in specie di quelli “particolari” come lo stato di salute, vale per tutti, persone famose e non famose, così come il regime di pubblicità di tali dati laddove l’interessato, personaggio pubblico o meno, decida liberamente di condividerli. La materia è circondata da particolari cautele, anche sotto il profilo delle regole deontologiche nell’esercizio dell’attività giornalistica. Certo, nelle ipotesi sopra ricordate, si tratta di informazioni relative alla salute rese manifestamente pubbliche dagli interessati, il che determina la liceità del trattamento di tali dati come dispone espressamente il Regolamento europeo 2016/679 (art. 9, par. 2, lett. e). Come valutare questa tendenza a comunicare pubblicamente notizie riservate sulla propria salute? Ovvio che la rivelazione spontanea di una malattia, invalidità, o disabilità da parte di un influencer o di un personaggio pubblico può essere intesa a fini motivazionali, di testimonianza, d’invito alla prevenzione, di narrazione positiva, di ulteriore condivisione di una vita già oggetto di partecipazione e seguito da parte della propria comunità. Ma la medesima condotta, se attuata da una persona comune, potrebbe, invece, avere impatti diversi. La persona nota che decide di condividere la propria sofferenza è (o dovrebbe essere) già strutturata a difendersi anche dagli attacchi degli odiatori seriali che popolano la rete; una persona comune, al contrario, potrebbe essere meno “attrezzata”, avendo più da perdere che da guadagnare dalla diffusione di dati tanto sensibili e delicati. Vorremmo, ad esempio, che la nostra assicurazione, o la banca che deve concederci un mutuo, o il nostro datore di lavoro siano a conoscenza delle malattie più o meno gravi che ci affliggono? C’è poi la questione dei minori malati o disabili, di cui tutelare l’integrità della personalità, figli o meno che siano di personaggi famosi. Troppo spesso sui social si assiste alla pubblicazione/condivisione, anche da parte di genitori che non godono di particolare notorietà – se non quando di veri e propri sconosciuti – di immagini, video e notizie relative a frammenti di vita patetici e toccanti di minori in evidente difficoltà, portatori di handicap, malattie rare, sindromi invalidanti, deformità fisiche. Il che avviene per ingenuità o anche col deprecabile scopo di accaparrarsi compatimento, commiserazione, commozione a suon di like. È una deriva pericolosa perché l’imprudenza di quel genitore, oggi, potrebbe, domani, essere fonte di una ulteriore dose di sofferenza per chi è alla ricerca di anonimato e riservatezza. Anche i figli di personaggi famosi hanno il diritto di crescere scegliendo di condurre una vita personale e professionale autonoma, lontana dai riflettori o, comunque, diversa rispetto a quella dei genitori, mentre, invece, la memoria in rete di loro problemi sanitari o di informazioni riservate riguardanti le condizioni di salute, condivise dai genitori al tempo dell’infanzia, potrebbe tornare a comprometterne l’esistenza, nonché le scelte individuali e la vita di relazione in futuro. La riservatezza è un tema serio. Non un optional, ma un baluardo etico ed educativo. Un canone di pudore, di discrezione, di decoro, di rispetto della dignità propria e di quella altrui.
*Vicepresidente del Garante per la protezione dei dati personali