Mal di cibo a ogni età, con la pandemia esplodono i disturbi alimentari tra bambini, adolescenti e 50enni

«Ma veramente, tu, Marina, hai paura del cibo? Di ciò che dovrebbe solo darti energie, farti sentire viva e felice?». «Mentre l’anoressia conta le vostre ossa la vita avrà scritto storie che non potrete mai più leggere». «I tuoi dolori non spariranno quando tiri lo sciacquone del cesso e nemmeno quando supererai il record di passi giornalieri e nemmeno quando raggiungerai il tuo peso più basso». Su Instagram i racconti e i messaggi di chi prova a vincere, cade, si rialza. Ci si sostiene l’un l’altro, sui social, nella lotta contro quel male che ti condanna alla fame, o ti sveglia nella notte con il bisogno di saziarti ancora e ancora. Se ne soffre sempre di più, il lockdown ha fatto esplodere i disturbi del comportamento alimentare. Non solo gli adolescenti, isolati e smarriti, che cominciano a non poterne più di vivere a distanza. Cresce anche, in modo allarmante, il numero dei bambini che rifiutano di mangiare e dei cinquantenni che si abbuffano in modo compulsivo per placare l’ansia. Mal di cibo, a tutte le età. Oltre 3 milioni gli italiani che convivono con i Dca (disturbi del comportamento alimentare), l’89% (2 milioni e 300 mila) rappresentato da adolescenti. Ma i numeri ora sono più alti. Durante la pandemia i casi sono aumentati del 30%, secondo il Centro nazionale per il controllo e la prevenzione della malattie. Nel Regno Unito si parla di un’altra pandemia: quadruplicati i casi di anoressia e bulimia nella fascia di età 9-17, secondo il Royal College of Psychiatrists. Malattie che sono la seconda causa di morte tra i giovani.

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GLI ADULTI

«Adesso i disturbi esordiscono anche tra i 50 e i 55 anni», spiega Leonardo Mendolicchio, psichiatra e psicanalista, responsabile U.O.C. riabilitazione dei disturbi alimentari dell’Istituto Auxologico di Piancavallo. «Abbiamo notato un aumento dei casi di dipendenza tra gli adulti che tendono a usare il cibo per controllare le emozioni. In una situazione di fragilità psicologica, come quella che viviamo, mangiare diventa un modo per lenire ansia e angoscia. Si parla appunto di “emotional eating”, disturbo di alimentazione incontrollata che tra gli ultracinquantenni sta diventando un’emergenza». Le conseguenza per la salute si faranno vedere presto. Il Binge eating, alimentazione compulsiva, può portate all’obesità nel 30% dei casi. Ma tra i disturbi c’è anche l’ortoressia, ovvero l’ossessione per il cibo sano. «Bisogna far crescere la consapevolezza del rapporto con il cibo, allarmarsi se non si riesce a andare a dormire senza aver prima mangiato una tavoletta di cioccolato». Mettersi a dieta non risolve il problema, se dietro c’è un malessere. Soffrono gli adulti, ancora di più gli adolescenti e ora anche un numero sempre crescente di bambini. «Gli equilibri emotivi degli adolescenti si sono rotti, la loro quotidianità è stata stravolta dalla pandemia, vivono una drammatica insicurezza. L’alimentazione diventa un modo di manifestare il loro malessere», aggiunge lo psichiatra. Si girano dall’altra parte i bambini, non pensano al peso «ma associano l’atto di alimentarsi a qualcosa di pericoloso, non mangiano per paura di soffocare». E restano in silenzio davanti al piatto. Anche a 8 anni. «Stiamo vedendo in arrivo ai pronto soccorso, spesso con necessità di ricovero, ragazze anche giovanissime che esordiscono con un rifiuto dell’alimentazione, un peso corporeo in calo e con una percezione distorta del proprio corpo», racconta Elena Bozzola, segretario nazionale della Società Italiana di Pediatria, specialista all’ospedale Bambino Gesù di Roma. «Circa il 20% delle neo-diagnosi riguarda chi ha tra gli 8 e i 14 anni». Sempre più piccoli. Sminuzzare il cibo, mangiare troppo lentamente, scansare alcuni alimenti: ecco i campanelli di allarme.

I BAMBINI

Perché i bambini rifiutano di mangiare? Una silenziosa rivolta. Per attirare l’attenzione, per comunicare un disagio. Capiscono che i genitori danno molta importanza all’alimentazione, sin da piccoli li inseguono con il cucchiaio, dicono bravo quando hanno finito tutto nel piatto. E così usano il cibo per dire qualcosa. «Se chiediamo la ragione del loro rifiuto restano zitti», aggiunge la pediatra. «È l’unica malattia psichiatrica che può portare alla morte», avverte il professor Emilio Franzoni, direttore della Unità Operativa di neuropsichiatria infantile e disturbi del comportamento alimentare del policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna. In Italia muoiono 3mila persone l’anno per i Dca. Sotto accusa finisce spesso la famiglia, la disattenzione, il deficit di comunicazione. «Abbiamo chiesto, durante un incontro, a 160 bambini quanti mangiavano senza guardare la tv. Hanno alzato la mano solo in quattro. Il che sta a indicare un’assenza di ascolto e di dialogo, si sta a tavola ignorandosi, il che alla lunga può provocare disagio. Ma sappiamo che alla base dei disturbi di comportamento alimentare c’è anche una predisposizione genetica, oltre che una componente depressiva». Se 20 anni fa queste patologie riguardavano un ragazzo ogni 10 ragazze, adesso il rapporto è di un maschio ogni 4 femmine. La diagnosi per i pre-adolescenti (11-14 anni) è più difficile che per le coetanee. «Dove abbiamo sbagliato? A chi possiamo rivolgerci? Cosa possiamo fare per aiutare nostro figlio? I genitori di fronte a questi problematiche si sentono in colpa e confusi», il professor Franzoni per rispondere a queste domande ha scritto con Leonardo Sacrato, psicologo, il libro “Mio figlio ha un disturbo del comportamento alimentare?” (Giunti editore).

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Importante è intervenire subito, al primo sospetto. «La diagnosi precoce è fondamentale – aggiunge Mendolicchio – bisogna al più presto affidarsi a un’equipe multisciplinare, in questi casi devono essere curati corpo e psiche. Vale per i bambini, gli adolescenti e gli adulti. Da questi disturbi si guarisce. Secondo alcuni studi nord-europei, in cinque anni di terapia il 75 per cento degli anoressici ne è fuori. Un percorso lungo e faticoso, sono possibili ricadute ma se la cura è fatta bene diventano gestibili». Digiuno ma anche tanto cibo spazzatura. I bambini passano più tempo a casa, il lockdown li ha imprigionati nelle camerette, vedono pochi amici, non fanno sport. E ingrassano. «Abbiamo riscontrato che le restrizioni della pandemia hanno avuto conseguenze sui bambini, soprattutto quelli che abitano nei centri urbani», sottolinea Maria Teresa Fonte, pediatra di famiglia, del comitato direttivo Fimp Roma. «Il forzato isolamento ha causato ansia e stress, i bambini passano molte ore davanti allo schermo e consumano alimenti altamente calorici». E mettono su chili. «Ci troviamo di fronte a una doppia epidemia, il virus e il sovrappeso», spiega la pediatra. «Bambini che vivevano problematiche di disturbi del comportamento alimentare o dello spettro autistico hanno subito un peggioramento». Meno merendine e ore al pc, più movimento all’aria aperta. E attenzione: magari il cibo dice qualcos’altro. 

A CHI CHIEDERE AIUTO

La Regione Lombardia ha appena approvato una legge innovativa, che si propone di diventare esempio a livello nazionale, per contrastare i disturbi alimentari. Il provvedimento prevede la creazione di una rete sul territorio a cui rivolgersi sia per la cura che per la prevenzione, dunque ai primi campanelli d’allarme. Verranno creati spazi ambulatoriali in ogni Asst regionale. I pazienti saranno seguiti da team composti almeno da uno psichiatra, un neuro-psichiatra infantile, un medico internista, un dietologo, uno psicologo psicoterapeuta, un tecnico della riabilitazione psichiatrica, un dietista, un infermiere. A chi rivolgersi per chiedere aiuto in Italia? Sul sito Disturbi del comportamento Alimentare (disturbialimentarionline.it) è pubblicata una mappa dell’Italia dove, selezionando la propria regione, si ha a disposizione un elenco completo dei centri specializzati nella cura. C’è anche un Numero Verde SOS Disturbi Alimentari (800.180.969) e un link al portale www.chiediloqui.it.

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