Lo scrittore De Giovanni: «La sindrome Yolo? Cogli l'opportunità appena la vedi»

Chiudi gli occhi, respira piano. A 50 anni percepisci che il tempo è limitato e scorre veloce, non è come a 30 che pensi che poi le cose si mettono a posto. Perché fai il conto con gli anni che ti restano, non tanti di autonomia, per libertà di movimento e altri motivi, e pensi: non voglio passarli qui, e soprattutto così. Io, nel lasciare il lavoro in banca per fare lo scrittore, credo, però, di non aver rischiato molto. Più che altro, ho seguito il cambiamento, in qualche modo ne sono stato travolto: guadagnavo bene come vicedirettore di una sede del Banco di Napoli, pubblicavo già romanzi tradotti in venti Paesi. Certo, sarebbe bello dire il contrario, raccontare una storia romantica e avventurosa, che ho affrontato cioè la sindrome “Yolo” (dall’inglese “You only live once”, ovvero si vive una volta sola) con un salto nel buio, andando alla ricerca della felicità. Qui e ora. Per avere questa forza di volontà, devi essere molto insoddisfatto della situazione in cui stai, perché tutti mediamente lo siamo anche senza confessarlo apertamente.

CARPE DIEM

È tipico della nostra generazione, cresciuta nel benessere e più incline a valutare oggettivamente le cose, a differenza di quella precedente, quella dei nostri genitori che, con un lavoro e un tetto, il resto se lo faceva piacere, nel ricordo di non avere avuto niente da giovane; mentre i nostri figli sono ancora più inclini a non accontentarsi. E, con la crisi enorme dovuta alla pandemia che impone un ridimensionamento clamoroso delle disponibilità economiche, l’inquietudine potrebbe aumentare, spingendo più verso il “carpe diem”, una nuova filosofia dell’esistenza. Ritengo che incida, adesso più di ieri, anche la paura: se temi fortemente che le cose non vadano bene, puoi tentare una svolta. Sei quasi obbligato dalla necessità a farlo, assecondando un atteggiamento naturale. Persino l’animale più vigliacco, una volta che si trova spalle al muro, diventa aggressivo; se può, invece, scappa. Così cambiare vita, la maggior parte delle volte, significa partire: iniziare, per prima cosa, a cambiare posto. E questa forma di edonismo è riassunta nel proposito: «Ora vado in Australia». Ma, con l’emergenza sanitaria, il desiderio deve essere già nella mente. Altrimenti, non ti sposti ai tempi del Covid, perché sai bene che in questo momento ti troveresti nella stessa condizione, ovunque. Vale anche se hai un posto fisso, un lavoro in un’azienda, come dipendente: in questo momento non cerchi di metterti in proprio. A meno che tu non sia disperato o al bivio per ragioni diverse. Ad esempio, dovute ai rapporti d’amore. Restare a lungo in casa, per effetto delle limitazioni dovute al coronavirus, può mostrare e sta mostrando lesioni nella coppia che non si vedevano nel passato anche recente, trascorrendo in poche ore al giorno. La convivenza può rendere marito e moglie silenziosi e tristi al punto da decidere per un altro cambiamento. Che fare? In ogni caso, in qualsiasi circostanza, il mio consiglio consiste nel prendere coscienza rapidamente della situazione e di quello che si vuole fare. È inutile combattere con i «sì, ma, però» oppure perdere tempo o avere rimpianti. Anche la pandemia e la crisi modificano moltissimo le prospettive. Cerco di spiegarmi.

IL TEMPO

L’emergenza, che di per sé, per definizione, deve essere provvisoria, dura già da oltre un anno e mezzo. Alcune cose stanno cambiando nel nostro modo di vivere, in maniera definitiva. Basta riflettere sulle occasioni di svago, con le cene ordinate a casa anziché al ristorante, gli acquisti moltiplicati tramite l’e-commerce, inimmaginabili per quelli della mia età abituati ad andare nei negozi di prossimità. Senza trascurare lo smart working, che pure ha già avuto un forte impatto sulle relazioni, non solo familiari. Oggi abbiamo la consapevolezza che tutto può migliorare o peggiorare di botto. Ciò vuol dire essere più elastici, ma anche imparare a cogliere un’opportunità, quando la vedi. Io stesso, se guardo indietro, non avrei mai pensato che la scrittura potesse diventare un mestiere. Ogni giorno partecipo, invece, a quattro o cinque eventi online e ogni anno consegno quattro libri per la stampa. È faticoso, ma considero il mio lavoro il più bello, perché è creativo: inventare significa avere dentro di sé un magazzino pressoché inesauribile di storie e di mondi. Di possibilità da esplorare, anche in una stanza.

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