Dormo nello stesso letto con Elisabetta da 16 anni. Il giorno del matrimonio io avevo 29 anni, la mia sposa 25, si può dire due giovani in salute nel pieno delle forze, soprattutto lei. Ecco. Da allora non è mai passato un giorno senza che sentissi al mattino dall’altro lato del letto la voce di mia moglie che pronuncia quella formula, quel viatico, una sorta di mantra mattutino, il suo saluto al sole, quelle quattro parole: «Mi fa male qui». E un giorno è l’anca, il giorno dopo un piede, poi un’unghia, poi il letto di quell’unghia, poi la parte inferiore del letto di quell’unghia. «Amore – le dico io – unghia e letto dell’unghia sono più o meno nella stessa zona del corpo. Non sarà lo stesso dolore di ieri?» No. È diverso, diversissimo. Gravissimo. A quel punto io le propongo: «Vogliamo andare da uno specialista di unghie?». E lei mi dice che no, che tanto è inutile. Ha una precisa teoria in merito: il suo è un dolore che non interessa alla comunità scientifica, perché nessun ricercatore di nessuna università riceverà mai un finanziamento che abbia come scopo una cura per dolori al letto dell’unghia. E al dolore della patologia si aggiunge la rabbia dell’esclusione sociale «Noi malati di unghie siamo soli con il nostro patire». Però attenzione, mia moglie non è ipocondriaca, tutt’altro, si tratta di un rituale che si consuma tutto nella prima parte della mattina, il resto della giornata di solito procede senza intoppi e lei riuscirà a realizzare quello che si è prefissata di portare a termine dimostrando come ogni giorno di essere una donna sana e vitale. «Tu non credi ai miei dolori» è uno dei nostri grandi argomenti di discussione. «Ma certo che ci credo» le dico io senza riuscire ad essere abbastanza convincente. Le persone che tentano di ingenerare sensi di colpa nel proprio scettico interlocutore di solito la buttano sul tragico: «Voglio proprio vedere quando sarò morta, se mi crederai!». Elisabetta no. Non usa mai questa frase, perché l’ha modificata: «Voglio proprio vedere quando SAREMO morti, se mi crederai!» E intende dire: quando saremo entrambi al cospetto dell’Altissimo e in un trionfo di cherubini adoranti Dio finalmente tuonerà alle mie orecchie: «Stolto, i doloretti di tua moglie erano veri!». Facendomi precipitare nel girone degli increduli. Una mattina Elisabetta si è svegliata con una domanda: «Ma non sarà che tutti gli esseri umani provano più o meno la mia stessa quantità di dolori, solo che gli altri non lo dicono?». Quella di mia moglie non è una vera percezione del dolore, ma un senso, il suo sesto senso. Ne usa cinque per osservare il mondo al di fuori del suo corpo, il sesto per osservare quello all’interno.
*attore e autore
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