Alberto correva tutta la notte intorno al letto, 40 chilometri, «voglio diventare una lastra di marmo», diceva. Carolina aveva smesso di mangiare di ritorno dall’Erasmus, qualche chilo in più, lei che era magra e bellissima, la madre: copriti quelle cosce, guarda come sono grosse. Martina, dopo il rifiuto di un ragazzo, «ho scelto di scomparire sotto una montagna di grasso». Il cibo: dolore e malattia. Storie di ragazzi che ce l’hanno fatta a guarire o che stanno ancora lottando, tornano su Rai3 in vista del 15 marzo, giornata nazionale del ”Fiocchetto Lilla“ dedicata ai disturbi del comportamento alimentare. Una puntata speciale di “Fame d’amore”, quella di sabato 13. La conduttrice Francesca Fialdini, dopo le prime due stagioni della docu-serie, adesso porta anoressia e bulimia in prima serata.
Di cosa sono affamati questi adolescenti che rifiutano il cibo?
«Il titolo “Fame d’amore” è già una chiave di lettura. Vogliamo con forza far capire da dove nascono i disturbi alimentari che mettono in discussione il nostro modo di amare. Noi adulti facciamo fatica a sentirci giudicati in questo. Parliamo di ragazzi che hanno ferite profonde nelle fondamenta della loro personalità, soffrono per una mancanza di sicurezza dovuta al non sentirsi riconosciuti, non sentirsi sufficientemente visti, guardati e accettati per quello che sono realmente».
Quale storia, tra quelle che ha raccontato, l’ha particolarmente colpita?
«Tra i nostri ospiti in prima serata ci sarà Alberto, un giovane medico. Ha rischiato di uccidersi un mese fa, una ricaduta. Adesso soffre di bulimia. Correva di notte intorno al letto per bruciare le calorie ingerite. Poi è arrivato a spendere mille euro al giorno per mangiare e poi vomitare. Ci ha confessato che avrebbe desiderato trasformare il suo corpo in una lastra di marmo. Da medico è perfettamente consapevole di quello che sta facendo al suo corpo. Ma sono tante le storie che abbiamo raccontato e ognuna mi ha colpita per qualche ragione. Quella di Francesca o di Beatrice che non riescono ad allontanarsi da una figura di riferimento che hanno eletto a modello. O di Martina che ha deciso di scomparire sotto una montagna di grasso per una delusione d’amore. La verità la raccontano i ragazzi e questo ha dato importanza a questa docu-serie che diventa un appuntamento in prima serata».
Cosa cercano di dire questi ragazzi con il loro disagio?
«Fanno parlare il loro corpo per dire cose che a voce non riescono a dire. Gridano la loro fame d’amore con il corpo. La docu-serie ci ha permesso di scoprire che il nodo del malessere si scioglie se tutta la famiglia si mette in discussione. Nel mondo esterno cerchiamo amore come scambio, approvazione, consenso, conferma della nostra autostima. Ma dentro casa cerchiamo più di questo. Vogliamo essere riconosciuti».
Con la pandemia, il lockdown e le restrizioni questi disturbi hanno avuto un’impennata, da quanto dicono gli esperti.
«Sono esplosi. Tutto è cambiato intorno agli adolescenti. Prima avevano una quotidianità a cui aggrapparsi: scuola, palestra e amici. Avevano un ordine che ora è saltato. Ma è saltato anche dentro casa perché magari i genitori hanno perso il lavoro e non hanno risposte da dare a questi ragazzi che chiedono cosa sta succedendo. Tutto ciò amplifica le insicurezze. Se c’era già una fragilità, è più facile che in una situazione del genere i disturbi alimentari esplodano. Tanto più che il cibo è a portata di mano, sei costretto a stare a casa. Trovi conforto nel mangiare. Oppure se in quel momento i genitori non hanno risposte per te, tu ti fai del male. Sparisci».
Un problema sempre più diffuso tra i ragazzi.
«Più difficile diagnosticare la malattia per un ragazzo. Palestrato, fa iperattività fisica, si nasconde dietro una forma perfetta ma non viene riconosciuto come un ragazzo malato né lui ha realizzato di esserlo».
Quale messaggio vuole lanciare “Fame d’amore”?
«Che si guarisce. Ci vogliono anni, bisogna fare un viaggio dentro se stessi, avere il coraggio di dire: non mi sono sentito amato da mio papà o da mia mamma o dalla mia migliore amica. Serve tanto coraggio per dirlo. E ci vuole la disponibilità da parte della famiglia di mettere in discussione il proprio modo di amare».