Spazio, i nuovi farmaci contro le malattie neurodegenerative e l'Hiv nascono in orbita. Via all'esperimento Zeprion

Lenti antigraffio e fotocromatiche, termometri a infrarosso, analisi delle microcalcificazioni nelle mammografie, microsensori.

Ecco alcuni dei risultati che ci arrivano dalla ricerca spaziale biomedica. “Laboratorio” privilegiato è la Stazione Spaziale Internazionale in orbita costantemente intorno alla Terra. Dedicata alla ricerca scientifica viene gestita come progetto di cinque diverse agenzie spaziali: la statunitense NASA, la russa RKA, l’europea ESA (con tutte le agenzie spaziali correlate), la giapponese JAXA e la canadese CSA-ASC. Le ricerche aerospaziali oltre all’alimentazione (integratori e micronutrienti), alle tecnologie per lo sviluppo di dispositivi cardiaci e uditivi, alle conoscenze in campo fisiologico, alla “costruzione” di un braccio robotico che aiuta gli specialisti in neurochirurgia o l’individuazione di nuove cause di alcune patologie oggi permettono in orbita una vera sperimentazione dei farmaci. In particolare la ricerca aerospaziale ha concentrato la sua attenzione sulle alterazioni del sistema cardiovascolare, i danni muscolo-scheletrici (osteoporosi) e i disturbi polmonari. Il 2 agosto scorso, dalla base di Wallops Island in Virginia, è stato lanciato verso la Stazione Spaziale Internazionale l’esperimento Zeprion. Avrà il compito di confermare il meccanismo molecolare alla base di un nuovo protocollo farmaceutico per contrastare le malattie da prioni. Malattie degenerative del sistema nervoso centrale che colpiscono l’uomo e altri mammiferi. La causa sono appunto i prioni, forme alterate della proteina prionica (PrP) che è normalmente presente in vari organi del nostro corpo, in particolare nel cervello. La proteina prionica è balzata alla cronaca durante l’emergenza del “morbo della mucca pazza”.

IL TEST

Sviluppato da un gruppo internazionale di ricercatori, tra cui gli scienziati italiani delle università di Milano-Bicocca e Trento, della Fondazione Telethon, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e dell’Istituto di biologia e biotecnologia agraria del Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’esperimento potrebbe avere ricadute importanti anche per altre malattie neurodegenerative. Zeprion si propone di sfruttare le condizioni di microgravità presenti in orbita per verificare la possibilità di indurre la distruzione di specifiche proteine nella cellula, interferendo con il loro naturale meccanismo di ripiegamento (folding proteico). Il progetto si compone di un vero e proprio laboratorio biochimico in miniatura realizzato da SpacePharma, che opera a bordo della Stazione Spaziale Internazionale e viene controllato da remoto. «La capacità di bloccare il ripiegamento di specifiche proteine coinvolte in processi patologici apre la strada allo sviluppo di nuove terapie per malattie attualmente incurabili» spiega Pietro Faccioli, professore dell’Università Milano-Bicocca, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, coordinatore dell’esperimento. Gli ultimi giorni di agosto sono sbarcati sulla stazione spaziale internazionale i quattro astronauti guidati dalla statunitense Jasmin Moghbeli, ingegnere aerospaziale. Con lei l’astronauta dell’Esa danese Andreas Morgensen, il medico giapponese Satoshi Furukawa e l’astronauta russo Konstantin Borisov. Erano partiti dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral in Florida. In sei mesi porteranno a termine più di 200 esperimenti scientifici e dimostrazioni tecnologiche. Fra gli esperimenti, alcuni riguardano gli effetti prodotti in microrganismi esposti alle radiazioni cosmiche all’esterno della Iss, lo studio del modo in cui l’organismo umano reagisce a viaggi spaziali di diversa durata e l’osservazione della fisiologia del sonno degli astronauti. La startup Varda Space Industries, una società privata di ricerche aerospaziali, nel giugno scorso ha lanciato nello spazio un mini-laboratorio per produrre un antivirale contro l’HIV. L’idea di progettare sostanze o materiali sfruttando la microgravità sembra essere l’ultima frontiera che spinge verso questa direzione vari progetti. Varda Space è stata la prima a mettere in orbita la sua fabbrica spaziale grazie alla partnership con Space X e il suo razzo Falcon. Al suo interno nessun astronauta ma solo apparecchiature robotiche in grado di effettuare esperimenti. La società punta a produrre principi attivi con una purezza impossibile da ottenere sulla Terra. Ed è ciò che sta testando in questa sua prima missione, con la realizzazione in orbita di un antivirale contro l’HIV. Non c’è, dunque, da stupirsi se nel prossimo autunno, nelle nostre facoltà di Medicina, inizieranno vari corsi dedicati proprio a questo tipo di specializzazione. Il 6 ottobre all’Università di Padova, Dipartimento neuroscienze, chiuderanno le iscrizioni per il corso di perfezionamento in “Medicina aeronautica e spaziale”. L’ateneo Federico II di Napoli con l’Agenzia spaziale italiana e l’Aeronautica ha in calendario master in medicina aerospaziale. Così come a Pavia e a Bologna. Mentre la Fondazione Internazionale Menarini, a Firenze, ha organizzato, con NASA, SOVARIS Aerospace e The Foundation for Gender-Specific Medicine, tre giorni di incontri sulla farmacogenomica. Per salvaguardare la salute degli astronauti di domani e migliorare la nostra già oggi.

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