Sono più di due milioni e mezzo in Italia ma, incredibile, non riescono a farsi vedere e sentire. L’immenso frastuono della pandemia non lascia spazi per altre voci. Anche se arrivano dalle persone che sono state colpite dal Covid-19. Persone che si sono ammalate, forse ricoverate e poi dimesse una volta che i test hanno dato risultato negativo. Si potrebbe parlare di ex pazienti, di guariti. Loro, però, dicono che non è così. Perché anche a distanza di dieci-dodici settimane dagli ultimi esami devono ancora fare i conti con un rosario di sintomi. Parliamo di affaticamento, fiato corto, dolori articolari, tachicardia, vuoti di memoria, perdita della concentrazione, ansia, depressione. Oggi, questi pazienti, vengono ufficialmente definiti “Long Covid”. «I segni della malattia non ci hanno abbandonato, il sistema sanitario sì», racconta Leila, amministratrice del gruppo Facebook Long Covid/COVID-19 Italia.
IL SERVIZIO
È uno dei tanti gruppi social nati per riunire gli ex pazienti che, oltre l’infezione, hanno un dramma in comune: il non essere ascoltati e creduti. Piuttosto, spesso, accusati di esagerare. Solo in pochi ospedali – in prima fila Toscana, Lombardi e Liguria ma non solo – si sta cominciando a pensare a questi nuovi pazienti. A creare degli ambulatori ad hoc con medici che sappiano seguirli. Al Policlinico Umberto I di Roma dai primi di febbraio è aperto un percorso di follow-up gratuito per pazienti pediatrici, che hanno avuto una infezione da Sars-CoV2, nell’ambulatorio di Pneumologia pediatrica diretto dal professor Fabio Midulla. Nello stesso ospedale sono in programma corsi di aggiornamento sui “Long Covid”. Proprio per assicurare le giuste risposte e un monitoraggio multidisciplinare ai guariti è partito a Roma, al Policlinico Universitario Gemelli un servizio di Day hospital post-Covid. «Si tratta – spiega Francesco Landi, direttore dell’Unità complessa di Riabilitazione e Medicina Fisica del Policlinico Universitario Gemelli fra i responsabili del Day hospital- di un servizio dedicato ai pazienti che sono stati colpiti dal virus. Qui si ripete il tampone e si programmano varie visite specialistiche. E test come l’elettrocardiogramma, gli esami per valutare le condizioni di fegato e reni e la capillaroscopia per valutare la salute vascolare. Dopo due giorni, una visita pneumologica, una otorinolaringoiatrica per gusto e olfatto, una gastroenterologia e una oculistica. E non dobbiamo sottovalutare l’impatto psicologico». L’Oms ha presentato un documento sul “Long Covid” (uno su dieci continua a non stare bene dopo oltre 12 settimane)) nel quale spiega che la malattia può comprendere “sintomi sovrapposti”, tra cui “dolore toracico e muscolare generalizzato, affaticamento, mancanza di respiro e disfunzione cognitiva, infiammazione persistente, trombosi, mal di testa, depressione, febbre ricorrente, perdita dell’olfatto”. Le parole del direttore dell’Organizzazione per l’Europa, Hans Kluge: «Oggi facciamo luce sul fatto che, in alcuni pazienti, la disabilità che segue l’infezione si protrae per mesi con gravi conseguenze sociali, economiche, di salute e sul lavoro. Il peso è reale e importante. Purtroppo, alcuni malati sono trattati con incredulità o mancanza di comprensione». Quindi, gli ex pazienti non esagerano.
LE FASI
Michele Vitacca, direttore del Dipartimento Pneumologia Riabilitativa degli Istituti Clinici Scientifici Maugeri di Pavia, spiega che la ripresa, nel post Covid, si basa su tre pilastri. «Il primo è il recupero respiratorio ovvero andare a riaprire e dilatare, con farmaci, dispositivi e ginnastica respiratoria, gli spazi degli alveoli polmonari che sono stati compressi. Il secondo è la rieducazione motoria per recuperare dei semplici movimenti. Dal letto alla poltrona, dal camminare alla cyclette aumentando pian piano l’attività così da rieducare i muscoli e ridurre la desaturazione di ossigeno durante l’attività fisica. Il terzo riguarda l’aspetto neurologico e mentale perché il Covid lascia quella che viene definita sindrome post traumatica da stress, che colpisce memoria e psiche, ma le terapie comportamentali aiutano il recupero e il reinserimento sociale». Uno studio del Maugeri di Pavia e ha esaminato 140 pazienti sottoposti a un percorso di riabilitazione: già dopo tre settimane è stato notato un miglioramento significativo nel 75% dei casi. Circa un terzo dei malati ricoverati per forme gravi di Covid-19, inoltre, continua a soffrire di disturbi come depressione, ansia, insonnia e sindrome da stress post-traumatico a tre mesi dalle dimissioni. Come indica la ricerca, su 226 pazienti con età media di 58 anni, coordinata da Francesco Benedetti, dell’Ospedale San Raffaele di Milano, pubblicato sulla rivista “Brain, Behavior and Immunity”. È emerso che il 36% dei ricoverati per una forma grave di Covid, riportava sintomi clinici, ansia, depressione e insonnia, a tre mesi dalle dimissioni. «I dati – precisa Benedetti – confermano la stretta relazione tra risposta del sistema immunitario, stato infiammatorio e persistenza dei sintomi depressivi». I SITI