Mentre Paesi come l’Italia si stanno ancora organizzando per somministrare la prima dose del vaccino c’è già chi pensa alla terza. Ci stanno pensando il governo britannico e almeno un paio di aziende produttrici. Già a settembre si potrebbe ipotizzare l’iniezione numero tre. Sono trenta milioni gli inglesi (57% degli adulti) che hanno ricevuto una prima dose in tre mesi. E altri tre milioni e mezzo di persone hanno avuto la seconda. I decessi per Covid sono calati del 90% fra gli ultraottantenni rispetto al picco dell’ondata di fine gennaio alimentata dall’aggressiva variante inglese. Lo certifica l’Ons, omologo britannico dell’Istat: 536 morti fra gli over 80 nella settimana del 12 marzo contro i 5.349 del 22 gennaio. Da qui l’idea di somministrare una terza dose a settembre per rafforzare l’immunità se nuove varianti si dovessero diffondere. Sul fronte delle aziende arrivano le conferme: nei primi giorni d’autunno, soprattutto le fasce deboli, potrebbero sottoporsi ad un altro richiamo. Pfizer e BioNTech hanno annunciato l’avvio di una ricerca sulla sicurezza e l’immunogenicità di una terza dose contro l’infezione causata da varianti già circolanti o che potrebbero emergere. Anche Moderna sta ragionando sull’ipotesi di allungare la protezione. Si pensa ad uno scenario nel quale i più deboli potrebbero aver bisogno di un potenziamento degli anticorpi.
Al momento, a tre mesi dall’inizio delle somministrazioni, gli effetti dei vaccini a mRna di Pfizer-BioNTech e Moderna sono, comunque, molto confortanti: il rischio di infezione è ridotto del 90% dopo due dosi e dell’80% dopo una singola dose. Lo dimostra uno studio americano condotto dai Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie su 3.950 medici, infermieri e altri lavoratori essenziali, vaccinati negli Stati Uniti e monitorati per 13 settimane (da metà dicembre 2020 fino a metà marzo 2021) in un periodo in cui circolavano già le nuove varianti. È il primo studio americano con dati del mondo reale (ottenuti al di fuori delle condizioni controllate tipiche delle sperimentazioni cliniche) ed è in linea con altri precedentemente condotti in Gran Bretagna e Israele. Parliamo di un generale effetto positivo anche se, dai diversi studi, cominciano ad emergere le differenze degli effetti del vaccino. Le donne, giovani e magre sono favorite, il loro organismo trae il massimo dei vantaggi dalla protezione. Diversa, come rileva una ricerca dell’università di Dusseldorf, la risposta degli uomini: se anziani e sovrappeso non sviluppano sufficienti anticorpi. «Anche da noi – fanno sapere Gennaro Ciliberto, direttore scientifico dell’Istituto Regina Elena di Roma, e Raul Pellini, direttore dell’unità clinica di Otorinolaringoiatria – è stato osservato un rialzo degli anticorpi nel 99% delle persone dopo la somministrazione della seconda dose, ma in termini quantitativi le donne e i più giovani hanno risposto meglio. Inoltre, nel gruppo delle persone sovrappeso/obesi la risposta è stata di circa la metà rispetto a quelli normo/sottopeso». Per la maggioranza dei vaccinati non ci sono conseguenze sull’organismo dopo la somministrazione, né a lungo né a breve termine. Subito dopo possono però comparire, come indica l’Agenzia italiana del farmaco, dolore dove è stata fatta l’iniezione, affaticamento, mal di testa, dolori muscolari, brividi, nausea/vomito, ingrossamento delle ghiandole linfatiche nello stesso braccio dell’iniezione, febbre, gonfiore e arrossamento dove è stato inoculato. Tutti gli studi compiuti finora confermano che, dopo la vaccinazione, per sviluppare anticorpi protettivi servono all’incirca due settimane dopo la somministrazione di ciascuna dose di vaccino. Gli esperti considerano dunque “parzialmente vaccinati” coloro che hanno ricevuto da almeno due settimane la prima dose e “completamente vaccinati” coloro che hanno ricevuto da almeno due settimane la seconda dose. All’ospedale Niguarda di Milano uno studio sul personale ospedaliero vaccinato dimostra che il 98,4% ha gli anticorpi anti-Covid.
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GLI ANTICORPI
«Si tratta di risultati estremamente positivi e incoraggianti – spiega Francesco Scaglione, direttore del laboratorio di Analisi chimiche e Microbiologia di Niguarda – al di sopra delle aspettative. Su 2.497 vaccinati sono stati individuati solo 4 soggetti “non responder”. Si tratta di persone immunodepresse, con un trascorso di trapianti o patologie che implicano l’uso di farmaci che inibiscono la naturale risposta immunitaria dell’organismo». A 21 giorni dalla somministrazione della prima dose del vaccino anti-Sar-Cov2, il 99% dei vaccinati ha sviluppato anticorpi contro il virus: sono i dati del primo monitoraggio realizzato tra gli operatori sanitari dell’ospedale romano Bambino Gesù. Sette giorni dopo la seconda, gli anticorpi sono stati sviluppati dal 100% dei vaccinati. «Il vaccino di Pfizer/BioNTech è in grado di generare una robusta risposta immunitaria sul 99% delle persone già dopo una singola dose. I nostri risultati dimostrano che le risposte delle cellule T e degli anticorpi indotte dall’infezione naturale sono potenziate in modo significativo da una singola dose di vaccino», commenta Thushan de Silva docente di Malattie Infettive all’Università di Sheffield (UK) e coordinatore dello studio condotto anche con i laboratori degli atenei di Oxford, Liverpool, Newcastle e Birmingham. Il vaccino AstraZeneca, sotto osservazione per alcuni decessi post somministrazione, è efficace al 76%. Come reso noto dalla casa farmaceutica. Anche se sono passati oltre 90 giorni dall’inizio della campagna vaccinale non è ancora possibile sapere per quanto tempo saremo coperti. Per l’Agenzia italiana del farmaco l’immunità da vaccino sembra avere una durata superiore a quella naturale post infezione. Sulla base della conoscenza di altri tipi di coronavirus, è possibile ipotizzare una protezione di almeno 9-12 mesi. Ma non si può stabilire con certezza la durata dell’immunità. Sicuro che la Ue, entro agosto, riuscirà a raggiungere l’immunità di gregge è Thierry Breton, commissario europeo del Mercato interno messo anche a capo della task force sui vaccini. Da buon francese ha individuato un giorno preciso entro cui il Vecchio Continente dovrà raggiungere la sospirata protezione totale contro il coronavirus: il 14 luglio. «Per quella data simbolica – ha assicurato – l’Europa avrà la capacità di immunità collettiva». È lecito nutrire qualche dubbio.